mercoledì 15 febbraio 2017 11:00 Mirella Cives

Il Carnevale molfettese dal Medioevo fino al '700

Dalle feste dei nobili al divertimento popolare fino al sangue del 1799

Il termine Carnevale deriva probabilmente dal latino carnem levare ossia "togliere la carne" che indicava il banchetto che si teneva il martedì grasso, l'ultimo giorno di Carnevale subito prima del periodo di astinenza e di digiuno della Quaresima.
È una festa dalle origini molto antiche, già nell'antica Roma infatti si celebrava a febbraio la fertilità della terra che, dopo il torpore invernale, tornava a rivivere e a nutrire uomini ed animali. Molfetta non è mai stata esente da grandi festeggiamenti in onore del Carnevale, ed è per questo che andrò a raccontare la sua storia, fatta di racconti e curiosità, narrati da speciali testimoni oculari, i molfettesi del passato.

Nel Medioevo fino al 1700, i ricchi molfettesi allestivano in pubblico carri sontuosi che rappresentavano cacce importanti, battaglie navali. Il popolo invece partecipava con maschere alla romana, alla turca, all'uso degli schiavoni e si divertivano con danze accompagnate da nacchere e tamburelli fino a tarda notte. Negli ultimi tre giorni vi erano rappresentazioni come "Il maestro dei pazzi", "gli arcieri", "il gioco dei Tifalli"e "battere il munnolo", divertimenti che cercherò di descrivere avvalendomi dell'aiuto di un interessante libro scritto da Saverio Minervini "Molfetta e i suoi Carnevali".

"Il maestro dei pazzi" consisteva in un gioco formato da circa 100 giovani, riuniti in casa di chi faceva il maestro dei pazzi, che partivano legati con una lunga catena in fila, con un tamburo e seguiti dal maestro che fingeva di portarli in manicomio. Al segno del tamburo, i pazzi si liberavano dalle catene e davano il via alla finta follia. Urla, corse, salti, rovesciavano panieri, ceste di frutta, bancarelle, entravano nelle botteghe degli artigiani mettendo a soqquadro ogni cosa. Non contenti andavano al porto a prendere le barchette e le trasportavano per le vie della città. Il maestro dei pazzi correva di qua e di là cercando di mettere ordine e anziché percuotere con una pertica i finti pazzi, percuoteva i curiosi che si avvicinavano. Dopo tanto fracasso, al nuovo segno di tamburo, gli scatenati fingevano di calmarsi e di farsi incatenare dal maestro dei pazzi. Quando erano nuovamente in fila ripartivano per altre mete, fino a quando stanchi si ritiravano nelle loro case.

Il giorno successivo si elencavano i danni che venivano risarciti dal maestro dei pazzi.
Tale divertimento fu messo al bando nel 1700.

"Ill gioco dei Tifalli" consisteva nel mandare persone detti Tifalli vestiti con abiti di vario colore in giro per le strade fingendosi ubriachi con delle botti di vino che offrivano ai passanti che in realtà erano invece botti di aceto o di acqua salata. Il divertimento chiamato "gli arcieri" era descritto così «Le fanciulle che sostavano sui balconi venivano prese di mira da arcieri quali allungando la balestra, facevano pervenire loro un sacchettino dei confetti, assieme a qualche dichiarazione amorosa».

Battere il munnolo invece prevedeva che nell'ultima mattinata si riunivano in piazza dei buontemponi con il capo coperto, vestiti di bianco e con lunghi stivali alle gambe. Camminavano per le strade con lunghe aste di legno in mano alla cui sommità era legato un sacco o uno straccio di pelle sporcato con acqua lurida, fango o immondizia, il quale veniva battuto contro i fabbricati, finestre e tutto ciò che capitava. Il primo giorno di Quaresima gli abitanti del quartiere erano costretti ad imbiancare gli edifici e pulire.

Questo uso fu importato nel medioevo da Firenze a Molfetta, per ricordare che l'uomo polvere era e polvere ritornerà.

Molte di queste tradizioni erano al limite del barbarismo, per cui tante volte furono vietate specialmente dal clero, in quanto molti del basso popolo sfrenavano in modo eccessivo, talvolta fino a compiere atti di crimine.

La festa carnevalesca continuò così fino al carnevale del 1799, durante il quale Molfetta fu sconvolta da episodi tragici e di fatti di sangue. Questi divertimenti non venivano eseguiti solo dal popolo, ma anche dal ceto più alto. Memorabile il processo contro il sindaco di Molfetta, don Giovanni Alfonso Calò e il cancelliere Gaetano Salvemini, per una condotta scabrosa per l'epoca durante il periodo carnevalesco.

Nel 1739 a causa di un ballo di Carnevale, detto ballo dell'Ignudo, in cui uomini e donne ballavano fino a restare solo con la camicia e gonnella, fu processata una donna, che riuscì ad evitare l'arresto solo perché fuggì travestita da frate. Nel 1790 il vescovo Gennaro Antonucci, denunciava al Re la sua preoccupazione a causa dell'indecente comportamento di alcuni uomini che nel periodo di carnevale avevano la "baldanza" di passeggiare dinanzi e nella stradina adiacente alla Cattedrale e di disturbare le celebrazioni con campane, chitarre, schiamazzi ed altro.
Inoltre i fedeli che si recavano in chiesa erano spesso bersagli di questi "irreligiosi" che si divertivano a sporcarli con la cenere ed acqua.