
«Ho spaccato tutto». «Ma che hai spaccato tutto, c'è ancora da spaccare». «Se ti impegni in poco tempo ne unisci tanti». «Ma quelle che stanno lì sono piccole». «Ma sono parecchi i pezzi che stanno, Filì». Sono solo alcune delle conversazioni intercettate in due anni di indagini da parte della Guardia Costiera di Molfetta.
L'organizzazione, che ha constatato «il coinvolgimento di Vincenzo e Lorenzo Sinigaglia e Pasquale De Cesare, i quali ponevano in essere condotte operative già assunte già dal 2020», è stata pedinata e messa sotto torchio. Per anni avrebbe infatti devastato la costa adriatica, da Molfetta a Barletta, per prelevare il dattero di mare, un mollusco bivalve che cresce nella roccia e del quale è vietato il prelievo proprio per evitare dei danni irreparabili come la desertificazione dei fondali.
«A livello operativo - è scritto nell'ordinanza -, la squadra è composta da un "battelliere", che con la funzione di skipper si occupa della conduzione del natante e di fungere da "palo" per scongiurare l'arrivo della Guardia Costiera». I pescatori, invece, «si immergono coi respiratori subacquei e tramite l'utilizzo di arnesi (martelli e pinze) provvedono alla devastazione del fondale con la distruzione delle rocce, al cui interno crescono i datteri di mare, per il prelievo degli esemplari ricercati».
Un biennio di pedinamenti ha così portato a ricostruire la catena di approvvigionamento, documentando «le operazioni di sbarco nel porto di Molfetta, o presso il molo Pennello». Giunti sulla terraferma, poi, «i mitili venivano depositati dai pescatori in locali nella propria disponibilità (in via Picca, corte Casale, strada vicinale Fondo Favale) e da cui venivano ripartiti ai privati (è il caso del barese Ignazio Larizzi, un tempo ritenuto fedelissimo del boss Antonio Capriati), e ai ricettatori».
Questi ultimi «lo rivendevano a ristoranti, pescherie e banchi vendita» al prezzo di 40-50 euro al chilo all'ingrosso «o usando esercizi commerciali (una officina di via Giovene e un bar in banchina San Domenico) quali luoghi di "distribuzione" del prodotto» venduto fino a 100 euro per l'utente finale. I datteri, chiamati «dattr» o cripticamente «jolly» o «jolletti», sarebbero stati venduti «arrivando a consegne di 10 chili e fornendo la merce già porzionata in buste da 0,5 chili o da 1 chilo».
E «in quest'ambito si colloca» chi «rifornisce i mercati ittici della zona», chi «la pescheria del figlio», ma anche chi, come Savino Damato, «da Margherita di Savoia si rifornisce di prodotto per assicurare le richieste» di numerosi ristoranti e pescherie. Da questa mattina, intanto, prenderanno il via gli interrogatori di garanzia.
